T.A.R.
Abruzzo – Pescara
Sentenza 23 marzo 2007, n. 339
Reg. Sent. n._339/07
Reg. Ric. n. 85/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER L’ABRUZZO
Sezione staccata di PESCARA
Composto dai signori magistrati:
Dott. Antonio Catoni Presidente
Dott. Michele Eliantonio Consigliere
Dott. Luciano Rasola Consigliere Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 85/2006 proposto dal signor L. M.,
rappresentatoe difeso dall’Avv. Alida Paladino, con domicilio eletto presso lostudio dell’Avv. Cesare D’Onofrio, in Pescara, via dei Sanniti, n. 6
contro
ilMinistero della Giustizia – Dipartimento Amministrazione penitenziaria,Provveditorato regionale Amministrazione penitenziaria di Pescara eDirezione Casa Circondariale e reclusione di Vasto, in persona deilegali rappresentanti, rappresentati e difesi dall’Avvocatura delloStato dell’Aquila, con domicilio eletto presso la sua sede in L’Aquila,Portici San Bernardino, 3
per l’accertamento
deldiritto del ricorrente al risarcimento dei danni patiti in conseguenzadell’illecita condotta tenuta dall’Amministrazione, consistita inreiterati atti e fatti vessatori del dipendente, tanto da costituire mobbingda cui è derivata la lesione all’integrità psicofisica del ricorrente(danno biologico), quantificabile nella misura del 20% in termini didanno biologico permanente, nonché un danno professionale ed un dannoesistenziale e
per la condanna
dell’Amministrazioneal pagamento della somma di € 152.419, 68 o al pagamento della maggioreo minore somma ritenuta di giustizia;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza dell’8 marzo 2007 il magistrato, Consigliere Luciano Rasola;
Uditi, altresì, i difensori delle parti costituite come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1. Esponeil ricorrente di prestare servizio da oltre quindici anni presso laCasa circondariale di Vasto (CH) in qualità di Assistente di Poliziapenitenziaria e di rivestire anche la carica di rappresentante localedel Sindacato autonomo S.A.P.Pe., che è il sindacato piùrappresentativo, in ambito nazionale, del personale di Poliziapenitenziaria.
Riferisce che all’interno del carcere sonopresenti altri sindacati e che esponenti di alcuni di essi rivestonoruoli superiori, essendo Ispettori o addirittura Direttori. In questocontesto il ricorrente sarebbe stato vittima di una serie divessazioni, costituenti nel loro insieme mobbing, il che lo ha indotto ad agire per la tutela risarcitoria dei danni professionali, biologici ed esistenziali subiti.
2. Riferiscequindi una serie di episodi che hanno dato luogo a rilievidisciplinari, rilevati sempre e solo da parte di due Ispettori diPolizia penitenziaria, tutti conclusisi senza l’irrogazione di alcunasanzione.
Il primo di essi, verificatosi l’11.9.2000, è statooriginato dall’assenza del ricorrente alle ore 8,00 alla conferenza diservizio, dovuta ad un cambio di orario del turno di lavoro. Lacontestazione dell’infrazione disciplinare è stata elevata dalsuperiore di grado, Ispettore A. G..
3. In data11.1.2001, sempre il predetto Ispettore A.G. denunciava il M. perpeculato per telefonate che lo stesso aveva effettuato ad un negozio dicomputer di San Salvo (CH), fornitore di computer e materialeelettronico in uso ai detenuti.
Il procedimento penaleincardinato si concludeva dopo anni di indagini con la richiesta diarchiviazione in data 27.12.2003 e con l’archiviazione in data13.4.2004 perché “il fatto non sussiste”.
4. In data8.2.2001, dopo essere stato autorizzato dalla Dott..ssa Ruggero arestare in Istituto fino alle ore 16 per la consegna del vestiario alpersonale, alle ore 14,25 veniva invitato telefonicamente da partedell’Ispettore F.F. a lasciare il servizio, su ordine del Direttorep.t, Dott.ssa G. R..
Richieste spiegazioni di ciò, il Direttore non riteneva “di dover dare spiegazioni ad un subordinato”.
5. Indata 5.5.2001 il ricorrente veniva autorizzato ad usufruire diastensione facoltativa per il sostegno della paternità dal 10.5.2001 al24.5.2001, per giorni 15, dopo di che veniva sollecitato ad attivarsiper la definizione di quanto previsto dall’art.18 NA-QN, costringendoil ricorrente a fornire chiarimenti, per i quali decideva di recarsipresso l?istituto, subendo durante il tragitto un grave incidentestradale.
6. In data 28.5.2001 l’Ispettore A. G. rilevavaun’infrazione disciplinare per comportamento irriguardoso, avendo il M.comunicato telefonicamente a detto Ispettore l’impossibilità dirivelargli il nominato di chi lo aveva informato circa le notizie cheil G. cercava di attingere per essersi il ricorrente recato fuoriservizio e in borghese presso il magazzino e per aver concluso latelefonata nei seguenti termini: “va bene la saluto”, dopo essere statoavvertito di una iniziativa disciplinare nei suoi confronti.
Anchein tal caso il M. è stato costretto a proporre ricorso amministrativo,accolto per cui nessuna sanzione è stata applicata.
7. Indata 18.10.2001 sempre l’Ispettore G. inoltrava alla Direzione un nuovorapporto disciplinare in quanto il M. si sarebbe rifiutato diconsegnare al G. la programmazione del servizio relativa al mese dinovembre 2001. Anche qui ricorso amministrativo del ricorrente, aseguito del quale veniva stabilito di sospendere momentaneamente ladisposizione che l’Ispettore aveva consegnato al ricorrente.
Ilprocedimento disciplinare è stato archiviato tenuto conto che ilDirettore non riusciva “ a comprendere le motivazioni di tale rapporto”.
8. Indata 28. 10.2001 altro Ispettore, certo N. P., inoltrava al Direttoredel carcere un ulteriore rapporto disciplinare relativoall’allontanamento del M. dal terzo cancello, lasciato aperto, peressersi recato nel vicino magazzino-casellario. Anche in tale caso ilricorso a cui è stato costretto il ricorrente e con cui si contestavano“fatti mendaci e pretestuosi” veniva accolto e archiviato ilprocedimento disciplinare.
9. Il 31.10.2001 l’IspettoreN.P. indirizzava al Direttore dell’istituto altro rapporto disciplinarein quanto il M., che si sarebbe allontanato dal posto di servizio(magazzino detenuti) è stato visto parlare on il collega X., impiegandotale tempo per interessi privati.
Anche il relativo procedimentodisciplinare, dopo le spiegazioni contenute in un ennesimo ricorsoamministrativo del ricorrente, veniva archiviato.
10. Nellastessa data del 31. 10.2001, sempre il P. inoltrava altro rapportodisciplinare per aver visto il M. svolgere servizio presso il magazzinodetenuti senza indossare la giacca della divisa.
Dopo che ilricorrente ha spiegato nel ricorso amministrativo che si era toltotemporaneamente la giacca per non sporcarla, essendo impegnato aconsegnare quattordici pacchi postali ai detenuti e che comunque in 15anni di servizio nessun agente era mai stato sottoposto a procedimentodisciplinare per tale motivo, il ricorso è stato accolto con laconseguente archiviazione del procedimento.
11. Semprenella stessa data del 31. 10.2001, sempre il P. ha inoltrato altrorapporto disciplinare contestando che il M. non aveva compilatol’apposito modulo quando il 28. 10.2001 si era allontanato dal servizioa causa di un malore.
Contestata l’infrazione, la stessa veniva archiviata dopo le esaurienti motivazioni rappresentate nel ricorso amministrativo.
12. Indata 17.11.2001 il superiore di grado, Ispettore A.G. ha indirizzato alDirettore altro rapporto disciplinare avendo il M. impiegato perdiversi mesi i detenuti in mansioni di magazziniere senzaautorizzazione oltre l’orario previsto.
Detto rapporto facevaseguito ad altro inoltrato il 10.11.2001 in cui si imputava al M. laresponsabilità di aver voluto favorire i detenuti addetti al magazzino,il che comportava un maggior esborso economico per l’amministrazione.
Dopo le spiegazioni contenute in altro ricorso amministrativo, il procedimento veniva archiviato.
13. In data 11.1.2002 e 6.2.2002 l’Ispettore G. ha indirizzato due distinti rapporti disciplinare, entrambi archiviati.
Aquesto punto il ricorrente fa presente d’aver invano denunciatoall’Amministrazione il disagio in cui si è trovato ad operare dal 2000al 2004 e le conseguenze che stava arrecando alla sua salute, tanto cheè stato costretto in più occasioni ad assentarsi dal lavoro perricorrere a cure mediche specialistiche per disturbi ansiosi,gastrointestinali, emicranie e cefalee da stress, documentati in 15certificati medici, che vanno dall’inizio del 2002 al 6.12.2004 e neiverbali dell’Ospedale militare di Chieti, disturbi che il M. riconducealla situazione di vessazione cui è stato sottoposto.
Riferisceancora di essere caduto in una profonda depressione per la quale hadovuto far ricorso alle cure del Servizio di Psichiatria dell’Ospedaledi Vasto e che il clima lavorativo avverso ha prodotto un graveisolamento nell’ambito lavorativo non volendo i colleghi subirepossibili ritorsioni.
Fa quindi riferimento alla perizia in data27.5.2005 del Dott. F. F., medico specialista in psichiatria epsicoterapeuta che riconduce i disturbi del M. alle vessazioni ed alclima subìto sul posto di lavoro.
Dopo aver avanzato richiestadi danno all’Amministrazione con lettera raccomandata a ritornaredell’11.3.2005 e dopo che tale richiesta è stata respinta, ilricorrente ha notificato in data 10.2.2006 il presente ricorso, concui, dopo aver illustrato il concetto di mobbing e averprecisato che la responsabilità per danno può essere invocato sia atitolo contrattuale che extracontrattuale, invoca l’applicazione, peril danno professionale, dell’art.2087 del c.c., posto che i continui eripetuti rapporti disciplinari hanno condotto il ricorrente adassentarsi dal lavoro per i gravi disturbi psichici accusati, conconseguente deperimento del bagaglio professionale e delle esperienzelavorative acquisite.
Il comportamento dell’Amministrazione cheha omesso di vigilare e di tutelare l’integrità psicofisica deldipendente ha leso il fondamentale diritto dello stesso ad estrinsecarela sua personalità nell’ambito lavorativo, ledendo anche la sua dignitàe la sua reputazione professionale.
Aggiunge il ricorrente che,a causa dei gravi e ripetuti atti vessatori posti in essere daiDirettori e dai superiori di grado, riferibili pertantoall’Amministrazione, ha subìto un danno biologico, essendo affetto da“disturbo post-traumatico da stress”, unitamente ad un “episodiodepressivo maggiore”, sindromi queste che hanno influenzato e tuttorainfluenzano le sue capacità lavorative, sociali, personali, relazionalied esistenziali, per cui tale tipo di danno deve essere valutato nellamisura del 20%.
Chiede il ricorrente anche il risarcimento deldanno esistenziale, che è danno non patrimoniale collegato ad unoggettivo deterioramento delle personali condizioni di vita dellavoratore.
Quantifica il danno alla professionalità inragione di una mensilità della retribuzione per ogni mese del periodoper il quale si è protratta la dequalificazione e pertanto in €8.750,00.
Il danno biologico viene quantificato nel 20%, secondola perizia medico-legale del dott, F. e quindi in € 43.699,68, salvadiversa valutazione del giudice adito sulla base dei risultati diespletanda CTU medica con riferimento alle tabelle di calcolo correnti.
Ilrisarcimento per il danno esistenziale viene infine quantificatoforfetariamente in € 100.000,00, salva diversa situazione dell’A.G.adita.
Chiede pertanto che, previo accertamento dellaresponsabilità contrattuale e extracontrattuale dell’Amministrazione,la stessa sia condannata al pagamento della somma di € 152.419,68 o diquella maggiore o minore ritenuta di giustizia, ammettendosi CTU per laquantificazione del danno lamentato.
Si è costituita in giudiziol’Amministrazione intimata che ha depositato una relazione, con cui,dopo aver chiarito che le diverse infrazioni disciplinari si sonoconcluse tutte con l’archiviazione, ammette la esistenza di una “situazione di conflittualità” sia pure non “estesa néall’Amministrazione nel suo complesso, né alla parte preponderante delreparto di Polizia Penitenziaria, ma bensì raggrumata in pochielementi, per motivi che non è dato bene conoscere”. L’Amministrazionecomunque esclude che il lungo periodo di malattia dal 20.5.2004 al21.1.2005 per “stato ansioso depressivo di tipo reattivo “, certificatodal competente Centro Militare di medicina legale di Chieti, possaessere ricondotto al “presunto” atteggiamento persecutorio neiconfronti del M., atteso che siffatto atteggiamento era cessato dalfebbraio 2002, cui risale l’ultimo rilievo disciplinare.
La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica dell’8 marzo 2007.
DIRITTO
1. Preliminarmente ritiene il Collegio di affermare la propria giurisdizione alla stregua delle considerazioni che seguono.
Trattandosinella specie di una controversia instaurata da un appartenente ad unCorpo di Polizia penitenziaria, che intrattiene dunque un rapporto dipubblico impiego sottratto alla privatizzazione, sembrerebbe doversiaffermare tout court la giurisdizione esclusiva del giudiceamministrativo, ai sensi dell’art. 68 del D.Lvo 3.2.1993, n.29, comesostituito dall’art. 29 del D.Lvo n.80/1998.
A termini di talidisposizioni restano infatti devolute alla giurisdizione esclusiva delgiudice amministrativo le controversie relative ai rapporti di lavorodi cui all’art.2.4.5, del D. Lvo citato, n.80 (tra le quali quellerelative al personale militare e della polizia di Stato), compresequelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi, per cui rientranella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda dirisarcimento del danno professionale e biologico da mobbing.
Senonchè,anche per quanto concerne i rapporti di pubblico impiego sottratti allaprivatizzazione, deve affermarsi la giurisdizione del giudiceordinario, nell’ipotesi in cui l’azione del risarcimento del danno allaintegrità fisica del dipendente nel caso di lamentato mobbing siafondata sulla responsabilità extracontrattuale della pubblicaamministrazione, ex art. 2043 c.c., derivante dalla situazione didisagio e dal comportamento vessatorio di colleghi o superiori, mentreva affermata la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso incui la lesione sia derivante da una violazione del rapportocontrattuale, fondandosi l’azione proposta su uno specificoinadempimento da parte dell’amministrazione (Cass. Civ. SS.UU.,22.5.2002, n.7470).
In altri termini, ai fini del riparto dellagiurisdizione a fronte di una richiesta di risarcimento danni propostada un pubblico dipendente nei confronti di amministrazione nonassoggettata al regime della privatizzazione è determinante laqualificazione dell’azione di responsabilità fatta valere, per cuiassume importanza decisiva la natura contrattuale o extracontrattualedi detta azione, dovendosi ritenere proposta la seconda tutte le voltein cui non emerga una precisa scelta del danneggiato in favoredell’azione contrattuale e, viceversa, la prima, con conseguentedevoluzione della controversia al giudice amministrativo, quando ladomanda risarcitoria sia fondata sull’inadempimento da parte del datoredi lavoro pubblico di obblighi relativi al rapporto di impiego(Cass.civ.., SS.UU., 27.2.2002, n.2882; 29.1.2002, n.1147; TAR Liguria,Genova, sez.I, 12.3.2003).
Quanto detto non esclude, in alcunicasi particolari, il cumulo di responsabilità contrattuale edextracontrattuale, con la conseguente devoluzione della causa algiudice amministrativo (TAR Lazio, sez. III bis, 25.6.2004, n.6254).
Ciòè possibile quando la lesione lamentata, attinente all’integritàpsico-fisica, derivi dalla situazione di disagio e dal comportamento disuperiori e quando si chieda il risarcimento del danno biologico, che,secondo al Corte Costituzionale (sent. 14.7.1986, n.184) trova la suadisciplina nell’art. 2043 c.c., in relazione all’art.32 cost., sicchèla richiesta risarcitoria di tale tipo di danno qualifica la domandacome extracontrattuale.
Ove peraltro si sostengacontestualmente la violazione di doveri legali che regolano ilrapporto, deducendo l’inadempimento da parte dell’Amministrazione deiprincipi di buona fede e correttezza, nonché la violazione dei doveridi imparzialità e buona amministrazione, posta in essere con il propriocomportamento omissivo o commissivo, venendo meno all’obbligospecifico, di cui all’art. 2087 c.c., che obbliga il datore di lavoroad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integritàpsico-fisica e morale del lavoratore, si è in presenza dellaresponsabilità contrattuale.
Le due figure di responsabilità , pertanto, in tema di mobbing, possono,in situazioni peculiari, coesistere e concorrere, ove il rapporto dilavoro non ha costituito la mera occasione per la condotta vessatoriaed ostile di colleghi o superiori gerarchici, ma ha visto anche laconfigurazione di una culpa in vigilando da partedell’amministrazione, che, consapevole di tale condotta, nulla ha postoin essere perché cessasse il lamentato atteggiamento di ostilità.
Nellaspecie, come appresso si dirà, coesistono, ad avviso del Collegio,entrambe le figure di responsabilità, per cui deve senz’altroammettersi la giurisdizione del giudice amministrativo adito.
2. Venendo al merito della controversia, giova rammentare che il mobbing consistein un complesso di atteggiamenti illeciti posti in essere nell’ambientedi lavoro nei confronti di un dipendente e che si risolvono insistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono perassumere forme di violenza morale o di persecuzione psicologica, da cuipuò conseguire l’isolamento e la emarginazione del dipendente, coneffetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della suapersonalità.
Secondo la giurisprudenza, il fenomeno in questionenon è ravvisabile quando sia assente la sistematicità degli episodi onel caso in cui gli atteggiamenti su cui viene basata la pretesarisarcitoria siano riferibili alla normale condotta del datore dilavoro, pubblico o privato, funzionale all’assetto dell’apparatoamministrativo o imprenditoriale (Trib. Milano, 20.5.2000 e 16.11.2000).
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva qualificata mobbing sono rilevanti, in altri termini, i seguenti elementi:
a)la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti oanche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti inessere in modo miratamene sistematico e prolungato contro ildipendente, in guisa tale da disvelare un intento vessatorio;
b) l’evento lesivo alla salute e alla personalità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del mobber e il pregiudizio alla integrità psico-fisica;
d) la dimostrazione dell’elemento soggettivo.
Quantoal primo di tali elementi, deve convenirsi che la pluralità esistematicità dei comportamenti e delle azioni a carattere persecutorioprolungatamente dirette contro il dipendente risulta accertato allaluce dell’ampia documentazione versata in atti, il che è riconosciutodalla stessa Amministrazione quando nella relazione depositatariconosce che esisteva tra il ricorrente e i due ispettori una“situazione di conflittualità”, che non era tuttavia estesa – si dice-né all’Amministrazione nel suo complesso (il che non è del tuttoesatto, come si dimostrerà), né alla parte preponderante del reparto diPolizia penitenziaria, in cui operano 12 Ispettori e 4 Sovrintendenti.
Maproprio la circostanza che i rapporti disciplinari sono stati sempre oquasi sempre redatti, vedi caso, da due soli Ispettori di poliziadimostra, unitamente ad altri elementi, che detti Superiori gerarchiciavevano preso di mira, “per motivi che non è dato bene conoscere” (sicnella relazione!) il ricorrente, sottoponendolo, per i motivi piùfutili e inconsistenti, e per un tempo che si è prolungato dalsettembre 2000 al febbraio 2002 a procedimenti disciplinari, tutticonclusisi con l’archiviazione, oltre che ad un procedimento penale,anch’esso conclusosi con l’archiviazione perché il fatto non sussiste.
Sesi esaminano le ragioni dei rapporti disciplinari ci si avvede dellainconsistenza dei fatti sui quali essi si basano e quindi dellapretestuosità degli stessi, che disvelano un mirato accanimento controil M., al solo ed esclusivo fine di procurargli ingiustificati intralcinell’attività lavorativa e di isolarlo dai colleghi, il che dimostraper contro un chiaro ed evidente abuso d’ufficio da parte dei dueIspettori, che avvalendosi della loro posizione gerarchica superiore,hanno abusato della stessa, esercitando il potere disciplinare in mododel tutto distorto e inequanime, se si considera che per alcuni episodimai nessuna contestazione è stata formulata dai due Ispettori e daglialtri superiori gerarchici nei confronti di dipendenti (significativoè, in particolare, l’episodio di cui al n. 10 della esposizione delfatto).
Da evidenziare che in taluni casi i rapportidisciplinari si sono susseguiti a breve distanza di tempo gli uni daglialtri e addirittura il 31.10.2001 il ricorrente ha subìto ben treprocedimenti disciplinari, tutti archiviati.
Ciò ha costretto ilM., ogni volta, a fronte delle contestazioni che l’Amministrazione glimuoveva in base ai rapporti dei due Ispettori, che non possono chequalificarsi mobbers, ad un defatigante e stressante lavoro digiustificazioni proposte con una serie di ricorsi amministrativi, inbase ai quali i procedimenti sono stati sempre archiviati, nonprovvedendosi mai all’irrogazione di sanzioni.
Népotrebbe sostenersi, a difesa dell’operato dei due Ispettori, che glistessi abbiano fatto un’applicazione, se pure rigida, delle normedisciplinari, per cui nulla potrebbe a loro imputarsi, perché il puntoè che i predetti, a prescindere che le norme vanno sempre applicate conun criterio di ragionevolezza, hanno ravvisato infrazioni anche laddovenon ve n’erano, in un’ottica di forzatura della realtà veramentesingolare per molti degli episodi descritti nelle premesse in fatto,tanto che la Direzione dell’Istituto è stata costretta ad archiviare iprocedimenti disciplinari attivati.
Tale ultimacircostanza, lungi dall’esimere l’Amministrazione della Casacircondariale da eventuali responsabilità, la chiama direttamente incausa, in quanto nessuna iniziativa è stata mai posta in essere perimpedire e fermare la valanga di fatui rapporti disciplinariinteressanti il ricorrente, che però, a lungo andare, hanno prodotto idanni che vengono lamentati.
Quel che sorprende e che èsintomatico di un modo di agire che viola i doveri di imparzialità ebuon andamento è che la Direzione del carcere, in modo acritico epedissequo, ha dato segutito ogni volta ai pretestuosi rapportidisciplinari di detti Ispettori, contestando al ricorrente fatti deltutto inconsistenti e che spesso vengono definiti di assoluta lievità,costringendo però il M. a doversi ogni volta difendere, approntandoricorsi amministrativi chiarificatori delle varie situazioni, in uninnegabile e comprensibile stato d’ansia e di pressante preoccupazioneper l’esito di detti ricorsi, che a lungo andare, in relazione allasistematicità delle vessazioni prolungatesi nel tempo, può aver finitoper incidere sull’equilibrio psicofisico del dipendente.
Afronte dei numerosi rapporti disciplinari, formulati sempre daglistessi Ispettori e nei confronti sempre dello stesso dipendente, allaDirezione del carcere non è mai venuto in mente di richiamare ipredetti ad un senso di maggiore imparzialità e obiettivitànell’esercizio del potere gerarchico e ad una visione più serena delrapporto con il ricorrente, il che costituisce omissione di unintervento doveroso, nella specie, e inadempimento dei principi dibuona fede e correttezza nella gestione dei rapporti di lavoro, nonchéviolazione dei doveri di imparzialità e buona amministrazione.
Ilcomportamento complessivo tenuto dalla Direzione del carcere nellavicenda si fa apprezzare, in altri termini, per un responsabilelassismo e per un’assoluta mancanza di controllo, che hanno consentitoil reiterarsi di una serie di episodi qualificabili come vessatori eprolungatisi nel tempo, con le conseguenze pregiudizievoli lamentate.
Nellaspecie, dunque, concorrendo, come detto, la responsabilità contrattualecon quella extracontrattuale, consegue, sul piano processuale, che sirende applicabile la disciplina dell’onere probatorio più agevole peril ricorrente, ossia quello contrattuale, ai sensi dell’art. 2087 c.c.,che è la norma più confacente alle ipotesi di mobbing , in quanto trasferisce in ambito contrattuale il più generale principio del neminem laedere, ripartendol’onere della prova, così che grava sul datore di lavoro l’onere diaver ottemperato all’obbligo di protezione dell’integrità psicofisicadel lavoratore, che, esentato dall’onere di provare il dolo o la colpadel datore di lavoro, è tenuto solo a provare la lesione dell’integritàpsicofisica ed il rapporto causale tra il comportamento datoriale e ilpregiudizio alla salute (Trib. Tempio Pausania , 10.7.2003, n.157
Nellaspecie, come rilevato, nessuna iniziativa concreta è stata assuntadagli organi di vertice del carcere per bloccare l’uso distorto che idue Ispettori hanno fatto del loro potere gerarchico nei confronti delM., noncuranti della forte pressione psicologica cui questi venivasistematicamente sottoposto e delle conseguenze negative che dettapressione poteva produrre e ha in concreto prodotto o delle reazioniincontrollate e inconsulte cui poteva dar luogo, se il M. fosse statapersona caratterialmente meno tollerante.
Non viene spiegata,tra l’altro, la ragione per cui, improvvisamente, i rapportidisciplinari cessano nel febbraio 2002, dopo che le vicendedisciplinari e giudiziarie erano durate anni ( si consideri che ilprocedimento penale, iniziato nel 2002, si è concluso con decreto diarchiviazione del GIP presso il tribunale di Vasto solo in data13.4.2004).
Per quanto concerne la prova dell’avvenuta lesionedell’integrità psicofisica, il M. l’ha offerta, versando in atti unaserie di certificati medici che, non tenendo conto di quelli relativi amalanni comuni e ai postumi dell’incidente stradale subìto, attestanoche, a far data dalla fine del 2002, il predetto ha incominciato asoffrire di emicrania, di disturbi gastroenterici, di cefalea e disindrome ansioso-depressiva con insonnia e astenia generalizzata (vedicertificati del 24.11.2002, 14.1.2003, 3 e 18.3.2003, 29.5.2003,21.8.2003, 11. 10.2003, 20.5.2004, 6.12.2004).
Lo “stato ansiosodepressivo reattivo” è stato inoltre diagnosticato dalla Commissionemedica ospedaliera presso il centro Militare di medicina legale diChieti, che ha ritenuto il ricorrente temporaneamente non idoneo alservizio d’istituto, da cui è risultato assente, per malattia, dal20.5.2004 al 21 .1.2005 (vedi verbali della detta Commissione del31.5.2004, 30.6.2004, 2.8.2004, 1.9.2004), per cui il M. è stato incura presso il Servizio di psichiatria dell’Azienda USL diLanciano-Vasto (vedi cartella clinica).
L’amministrazione, dicontro, non ha dato alcuna prova di aver posto in essere tutte lemisure necessarie alla tutela dell’integrità pisico fisica dellavoratore, ma anzi, come rilevato, non ha assunto alcuna concretainiziativa per fermare la sistematica aggressione del dipendente, dandosempre acritico seguito ai rapporti disciplinari dei due Ispettorisopra menzionati, contestando al ricorrente infrazioni del tuttorisibili che però impegnavano il predetto nell’estenuante lavoro diredigere scritti difensivi, sistematicamente accolti perl’inconsistenza dei rilievi mossi. Siffatto comportamento omissivo, cherileva ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo in testaall’Amministrazione di appartenenza, va considerato tenuto conto deldisposto combinato di cui agli artt. 2087, 1218 e 1228 c.c. e di cuiall’art.2049 c.c. per quanto concerne la responsabilitàextracontrattuale.
Per quanto concerne il nesso causale tra ilcomportamento tenuto dai due Ispettori e dall’amministrazione e ilpregiudizio alla salute, che è sempre problematico dimostrare, v’è daosservare che detto rapporto è percepibile nella specie, in quanto ilM., prima di vivere l’avversa e prolungata situazione lavorativa, nonaveva mai dato segni di patologie di natura psichica, per cui puòsenz’altro dedursi che la lesione del suo equilibrio psicofisico siastata una diretta conseguenza delle vessazioni sofferte per il lungoperiodo di tempo sopra indicato.
Il Dott. F. F., psichiatradell’Azienda USL di Lanciano-Vasto, nella perizia del 27.5.2005,riferisce che i quadri clinici che interessano il signor M. sono due:il “disturbo post-traumatico da stress” (DPTS) e “l’episodio depressivomaggiore”.
Sembrerebbe – aggiunge il F. – che il DPTS, adun’analisi superficiale, sia stato causato dall’incidente stradale del20.4.2002, mentre in realtà l’evento traumatico dell’incidente, che siè venuto ad innestare in un periodo della vita lavorativa del M. chedal 2000 subìva ripetutamente rapporti disciplinari da cui veniva poiassolto, ha iniziato a produrre un disturbo da stress, che si èevidenziato soprattutto dopo la prima querela del giugno 2002, dandoluogo ad un quadro clinico di vero e proprio “ disturbo post-traumaticoda stress “ (DPTS).
In tal caso, la causa scatenante del quadroclinico del DPTS “non deve considerarsi l’incidente stradale, quanto lanotizia della querela (giugno 2002) che veniva ad aggiungersi alleripetute richieste di procedimento disciplinare nei confronti del M.”.
Perdurandole vicende disciplinari e giudiziarie “ si è poi venuto a sviluppare unvero e proprio “episodio depressivo maggiore” alla fine dell’anno 2002,con tutte le caratteristiche tipiche di siffatta patologia (costantedepressione dell’umore, diminuzione di interesse per ogni tipo diattività, perdita di peso, insonnia, mancanza di energia, sentimenti diautosvalutazione e di colpa eccessivi o inappropriati, ridotta capacitàpensare, di concentrazione e di assumere decisioni), con“compromissione del funzionamento delle aree soprattutto sociale elavorativa. Infatti dal 2002 le assenze dal lavoro per malattia sononotevolmente aumentate (certificati del medico curante, Commissionemedico ospedaliera militare, certificazione e terapia CIM Vasto)”.
Quantoai danni lamentati, il ricorrente invoca il risarcimento in primo luogodel danno alla professionalità per la diminuzione della propriacapacità lavorativa e applicativa dovuta al lungo tempo in cui è statocostretto ad allontanarsi dal lavoro, il che ha prodotto appannamento edeperimento del suo bagaglio professionale e del suo ruolo dirappresentante sindacale, con lesione del diritto del dipendente intesocome mezzo di estrinsecazione della sua personalità.
Si chiedequindi di risarcire il danno biologico per la menomazione dellaintegrità psicofisica e per lo scadimento delle condizioni generali disalute, che hanno costretto il dipendente a ricorrere a curefarmacologiche.
Viene infine chiesto il ristoro del danno esistenziale per le compromissioni che il mobbing ha prodotto sull’esistenzaquotidiana e che sono accertabili e percepibili in quanto si traduconoin modificazioni peggiorative del normale svolgimento della vitalavorativa, familiare, relazionale, di svago, ecc.
Si tratta di danni che il mobbing ingenere produce e che, nella specie, sono stati prodotti, perl’accertato stato ansioso depressivo reattivo da collegare a tutte levicende disciplinari e giudiziarie subite dall’interessato.
Inordine alla quantificazione economica dei danni il ricorrente chiede lasomma di € 8.750,00 per il danno professionale, mentre per il dannobiologico viene chiesta la somma di € 43.669,68, tenuto conto che laperizia medico-legale del Dott. F.F. quantifica nel 20% l’invaliditàpermanente del ricorrente, salva diversa statuizione del giudice aditoall’esito di CTU che si chiede di ammettersi; per il danno esistenziale si chiede forfetariamente la somma di € 100.000,00, salva diversa valutazione dell’A.G. adita.
A fronte di tali richieste il Collegio ritiene, ai fini del quantum debeatur, diavvalersi del criterio equitativo di cui all’art.1226 c.c., essendoimpossibile stimare con precisione l’entità dei pregiudizi lamentati,anche attraverso una CTU (Cass.civ., sez.II, 1.8.2006, n-.17483;31.7.2006, n.17303), per cui, tenuto conto della natura, dell’intensitàe della durata delle compromissioni esistenziali e delle sofferenzemorali subìte dal ricorrente, si stabilisce che il danno complessivopossa essere liquidato in € 40.000,00, su cui vanno calcolati gliinteressi legali dalla data della sentenza al saldo.
Il ricorso va dunque accolto con la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
Le spese di causa seguono la soccombenza.
P.Q.M.
IlTribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata diPescara – , accoglie il ricorso, riconoscendo i danni da mobbing arrecatial ricorrente, cui va riconosciuto quindi il diritto al risarcimento ditali danni che si liquidano in via equitativa in € 40.000,00, e, perl’effetto, condanna l’Amministrazione intimata al risarcimento deldanno nella misura di € 40.000,00, oltre gli eventuali interessilegali.
Condanna altresì l’amministrazione al pagamento delle spese di causa che si liquidano in € 5.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Cosìdeciso in Pescara, dal Tribunale Amministrativo Regionale perl’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, nella Camera di Consigliodell’8 marzo 2007.
Il presidente
L’estensore
Il Segretario di udienza
Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 23.03.2007
Il Direttore di Segreteria