Mobbing, prova, necessità, dequalificazione, insufficienza

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 29 gennaio 2008, n. 1971

Svolgimento del processo

O.M., già coordinatrice socio assistenziale di 6^ livello presso l’Ospedale civile di ***, chiede, esponendo quattro motivi d’impugnazione, la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino che, in parziale accoglimento dell’appello, ha condannato l’azienda a pagarle, a titolo di danno da dequalificazione professionale (perdita di chances e di progressione di carriera) l’ulteriore somma, oltre interessi e rivalutazione, di Euro 17.766,12 e compensato per metà le spese processuali dei due gradi. La Corte ha ritenuto parziale la liquidazione, disposta in prime cure in suo favore, di Euro 15.000, limitatamente al danno da demansionamento, rispetto a una complessiva domanda fondata su pretesi episodi di mobbing subiti, a cavallo e dopo il parto, dal 97 e “attuati (secondo il riassunto fattone dalla sentenza impugnata) mediante: A) modifica arbitraria e vessatoria dell’orario di lavoro;

B) discriminazione operata con la nuova pianta organica e con l’applicazione fattane dall’Ente; C) svuotamento di mansioni; D) emarginazione; E) violenza morale”, con danno biologico del 15%, e la conclusiva richiesta (ibidem) del “riconoscimento del 7^ livello dal dicembre 1998 o, in subordine, la corresponsione del relativo trattamento economico; il risarcimento del danno da mobbing; la l’assegnazione delle mansioni per le quali era stata assunta e che aveva svolto fino al momento della sospensione del rapporto per maternità; il risarcimento del danno da dequalificazione professionale”.

In particolare la sentenza d’appello ha ritenuto che non fossero fondate le censure concernenti il mancato riconoscimento di una maggiore retribuzione, “non potendo pretendere il riconoscimento del trattamento economico di 7^ livello in conseguenza dello svolgimento di fatto di mansioni dequalificate rispetto al suo iniziale (6^) livello d’inquadramento

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