1) Il caso
Un sindacato del settore sanitario ricorreva al Tribunale di Milano per chiedere in via d’urgenza l’invalidità sotto il profilo della nullità e/o dell’annullabilità delle elezioni per i membri della r.s.u aziendale. Nell’atto introduttivo sosteneva che le elezioni si fossero svolte a fronte di plurime irregolarità, che denunciava, e che, per tale ragione, l’intero procedimento elettorale dovesse essere posto nel nulla.
Costituitasi in giudizio una sola delle sigle sindacali che avevano partecipato alle elezioni, che, peraltro, era quella che aveva maggiori interessi a preservare i risultati ottenuti per essere stata la più votata, fece presente al Tribunale che, invero, la richiesta dell’istante non potesse essere accolta, dal momento che tutti i candidati della lista ricorrente erano stati eletti, di talché non si sarebbe compreso cos’altro potesse pretendere l’istante, rispetto a quanto, materialmente, avesse già conseguito.
Nella sostanza e a ben guardare, lo scopo del sindacato ricorrente era quello d’ottenere una ripetizione della competizione elettorale, dal momento che dei possibili sette candidati da presentare in sede pre elettorale, l’istante ne aveva inseriti in lista solo tre (tutti eletti), mentre il conteggio complessivo e comparato dei voti avrebbe, a giudizio dell’organizzazione sindacale, potuto determinare l’inserimento di un numero più alto di propri iscritti nella r.s.u. dell’azienda ospedaliera.
2) Sulla giurisdizione e sulla competenza
Nulla quaestio sulla giurisdizione: siamo di fronte a un contenzioso tra parti private, con oggetto le regole che le stesse si sono date in accordi collettivi di natura privata. La giurisdizione è, dunque, senza dubbio quella dell’a.g.o..
Con riferimento alla competenza, invece, esiste qualche dubbio.
La giurisprudenza non aiuta, dal momento l’unico precedente reperito, peraltro, risalente nel tempo (Tribunale di Pavia, 17 novembre 2003), ammetteva in circostanze analoghe la competenza del giudice del lavoro, senza tuttavia dedurre particolari ragioni a fondamento della decisione.
Tuttavia, trattandosi di contenzioso tra associazioni sindacali in materia elettorale, non si scorgono agganci con l’art. 409 c.p.c. per radicare la competenza presso la sezione specializzata; questa norma, infatti, individua il criterio di collegamento nel “rapporto” tra parti, individuando, da un lato, sempre e comunque un prestatore d’opera (lavoratore subordinato privato e pubblico, mezzadro, colono, coltivatore diretto, agente, rappresentante di commercio, lavoratori parasubordinati), dall’altro, un datore di lavoro e/o un committente.
Nel caso in esame il rapporto è tra associazioni non riconosciute, quali sono i sindacati, tanto da rendere più che dubbia la competenza della magistratura del lavoro.
Né a radicare la competenza sembra sufficiente il richiamo all’art. 63 d.lgs. 165/2001, giacché la norma si limita a demandare alla conoscenza della magistratura specializzata le controversie promosse da OO.SS. “relative alle procedure di contrattazione collettiva di cui all’art. 40”, norma quest’ultima, che non contiene alcun riferimento a contenziosi di natura elettorale, occupandosi, al contrario, di “rapporto di lavoro” e di “relazioni sindacali”, che sono tutt’altra cosa rispetto alle elezioni per la costituzione della r.s.u..
Se qualche dubbio permane rispetto alla questione preliminare, la decisione assunta dal Tribunale è senz’altro da condividere.
3) Difetto d’interesse ad agire e violazione dei canoni di correttezza e buona fede
È noto che, per proporre una domanda in giudizio, occorra, ai sensi dell’art. 100
c.p.c. avervi interesse. L’interesse processuale è collegato all’azione esercitata e consiste nel conseguimento di un vantaggio, che la parte non otterrebbe, se non attraverso l’intervento del giudice; questo vantaggio deve tradursi in un’utilità, rispetto alla situazione di fatto da cui origina il contenzioso.
Nel caso in esame, tuttavia, cos’altro avrebbe potuto pretendere un sindacato che ha visto l’elezione di tutti i propri candidati? Ovviamente, per sé, non otterrebbe null’altro, con la più naturale delle conseguenze, consistente nel difetto d’interesse ad agire.
Peraltro e a ben guardare, l’azione del sindacato, se fosse stata considerata procedibile dal Tribunale, avrebbe avuto quale scopo solo quello di nuocere a terzi, tentando, in via giudiziale, di rimediare alle scelte compiute dall’O.S. al momento della presentazione della lista, allorché, invece d’indicare, come fosse suo diritto,
sette candidati, ne furono indicati tre. Non è solo la consapevolezza e la libertà in cui questa scelta è maturata, che impediva l’accoglimento della pretesa dell’istante, giacché avrebbe dovuto, ancor più, essere respinta la richiesta d’invalidare le elezioni, per fatti, eventi e decisioni assunti dallo stesso sindacato ricorrente, che, per inciso, presiedeva la Commissione e il seggio elettorale, responsabili, a giudizio della difesa avversaria, di plurime irregolarità procedurali.
Questo tentativo doveva, necessariamente, essere vanificato, poiché si sarebbe tradotto in un’inammissibile violazione dei canoni di correttezza e buona fede, che fondano ogni ordinamento giuridico e le relazione tra i consociati.
Sin dalla Roma repubblicana, con l’introduzione dell’exceptio doli, fu concepito un meccanismo destinato a paralizzare quelle azioni che, seppur formalmente conformi a diritto, fossero considerate ingiuste. Il largo uso che se ne fece nel corso dei secoli, portò i glossatori medioevali a ricavarne i tratti comuni, sussunti nell’insegnamento che nemo contra factum proprium venire potest, ossia, che nessuno possa porsi in contraddizione rispetto a un comportamento tenuto in precedenza. Contrasterebbe, infatti, con ogni retta coscienza, permettere a chi abbia, consapevolmente, tenuto una determinata condotta, foriera di specifiche e desiderate conseguenze, di rivolgersi all’autorità giudiziaria, per privare le proprie scelte d’ogni effetto, in forza di successivi ripensamenti o mutamenti delle condizioni, esistenti al momento della determinazione.
Anche i moderni ordinamenti conoscono il principio: taluni, come quello tedesco, positivizzandolo in alcune norme, altri, come quello italiano, ricavandolo dai generali principi di correttezza e buona fede, codificati negli articoli 1175 e 1375 c.c., le Corti comunitarie, fondandolo sulle tradizioni giuridiche dei Paesi membri, largamente influenzate dall’antico diritto romano. Di qui, istituti come l’affidamento, l’apparenza, la presupposizione, l’abuso del diritto.
La Cassazione ha più volte riconosciuto come le pretese, fondate sull’inosservanza dei principi segnalati, debbano: “considerarsi intrinsecamente inammissibili, rivelandosi precluse in virtù della regola di autoresponsabilità e dell’onere di coerenza – espressione del principio nemo potest contra factum proprium venire (l’estoppel, di origine anglosassone, oggi principio generale nell’ordinamento dell’UE), che impediscono al suo autore di far valere situazioni giuridiche incompatibili con il fatto stesso (principio accolto, talvolta tacitamente, da questa S.C.: Cass. 108/1997, in tema di incompatibilità tra tesi difensive; Cass. 1142/1993, seguita da Cass. n. 874/1995 e da Cass. S.U. 22236/2009)” (il principio è, altresì, riconosciuto da Cass. 7539/2012, Cass. 16544/2012, Cass. 9741/2008).
Vuoi per l’evidente difetto d’interesse ad agire, vuoi per i principi di correttezza e buona fede, che originano nel nostro ordinamento il principio invocato, immanente anche in sede comunitaria, le domande del sindacato ricorrente non avrebbe mai potuto accedere al vagli di merito.
Né i ragionamenti svolti dall’istante, proprio in tema d’interesse ad agire, avrebbero mai consentito di superare i limiti evidenti della domanda. La tesi che a giudizio del sindacato avrebbe il conforto giurisprudenziale, suona in questi termini: consentendo di disapplicare il principio della prova di resistenza in materia elettorale ed affermando, anzi, che potrebbe essere pretermesso “quando le contestazioni riguardino gli aspetti generali delle operazioni di voto”, la giurisprudenza ammetterebbe che chiunque possa sempre agire in giudizio, per ottenere l’annullamento di procedimenti elettorali.
L’obiezione che, se la domanda non fosse stata stroncata in radice, il Tribunale avrebbe potuto opporre è semplice.
Se è vero che, in taluni specifici casi, sia avvenuto il riconoscimento di un interesse all’azione in capo a chi, in applicazione della prova di resistenza, non avrebbe diretto e immediato giovamento dalla pronuncia, perché non sarebbe subentrato tra gli eletti, giammai si sarebbe potuto riconoscere lo stesso potere in capo a un estraneo al procedimento elettorale o a quel candidato, che avesse chiesto l’annullamento delle elezioni da lui vinte o, peggio ancora, a un sindacato che abbia vinto le elezioni, abbia visto la proclamazione tra gli eletti di tutti i suoi candidati, invocando, a cagione dell’invalidità, condotte tenute dallo stesso sindacato e dai suoi rappresentanti.
La correttezza di questo convincimento è garantita proprio da quella stessa casistica giurisprudenziale citata dal sindacato ricorrente, ove ad adire le Corti sono sempre e invariabilmente stati candidati perdenti o esclusi dai confronti elettorali.
In conclusione, la decisione assunta dall’autorità giudiziaria milanese è, senz’altro da condividere.
Roberto Mattioni
avvocato del foro di Milano