Quali sono le leggi attuali che tutelano i lavoratori colpiti dal mobbing? Lo spiega il professor Domenico Garofalo, docente di Diritto del lavoro presso l’università di Bari che si è occupato del fenomeno sia a livello accademico che come avvocato.
Professore, da quando la giurisprudenza si occupa di mobbing?
Diciamo che il fenomeno del mobbing esiste da sempre. A livello giudiziario invece è recente. Da poco la giurisprudenza ha iniziato a occuparsene e adotta delle pronunce a tutela del lavoratore subordinato.
Le leggi vigenti in Italia sono sufficienti a tutelare i lavoratori che subiscono il mobbing?
Non c’è una normativa ad hoc in materia di mobbing, salvo una legge regionale adottata qualche mese fa dalla Regione Lazio che però è stata giudicata incostituzionale dalla Corte costituzionale perché ritenuta invasione di campo da parte delle Regioni in un’area riservata alla competenza esclusiva dello Stato. Esistono però principi generali ai quali la giurisprudenza attinge per verificare la sussistenza del mobbing e per apprestare una tutela in favore del lavoratore subordinato. Innanzi tutto l’articolo 2087 del Codice civile che pone in capo al datore di lavoro lobbligo di preservare la salute e la sicurezza del lavoratore nel luogo di lavoro. Ed è questa la norma di riferimento in cui si fa rientrare il comportamento del datore di lavoro che deve impedire qualsiasi attentato alla salute del lavoratore che si possa manifestare attraverso il mobbing. Ci sono poi altri principi di carattere generale: i doveri e gli obblighi di correttezza e buona fede nei confronti del lavoratore nell’esecuzione del contratto di lavoro. Però va detto che queste due norme hanno una pregnanza minore dell’articolo 2087.
Ci sono norme che riguardano situazioni specifiche nelle quali può verificarsi un fenomeno di mobbing?
Sì, per esempio l’articolo 2103 del codice civile prevede l’obbligo del datore di tutelare la professionalità del lavoratore. Molto spesso il mobbing si collega a fenomeni di dequalificazione del lavoratore.
Un esempio?
L’utilizzazione del potere disciplinare al di fuori dei fini istituzionali e delle regole. Un datore di lavoro che invii sistematicamente lettere di contestazione al dipendente senza poi attuare provvedimenti disciplinari. O l’invio di visite fiscali al domicilio del lavoratore ammalato in maniera eccessiva rispetto al fine di questa facoltà riconosciuta al datore di lavoro. Pensi al lavoratore che ogni giorno sia sottoposto a visita fiscale.
Quali sono gli strumenti attraverso i quali, una volta accertata l’esistenza del mobbing, si può tutelare il lavoratore?
L’altro profilo molto interessante che sta emergendo nella giurisprudenza è quello delle tecniche di salvaguardia del lavoratore. Alla tecnica tradizionale della tutela di tipo patrimoniale si sono affiancate altre garanzie che riconoscono al lavoratore il risarcimento di danni diversi: il danno biologico innanzitutto, il danno morale e il danno esistenziale. Il primo è il risarcimento di tutti i danni che il lavoratore subisce nella cosiddetta vita di relazione (in famiglia, con i figli, con gli amici e via di seguito). Il danno morale è legato al dolore subito dal soggetto per effetto del mobbing e il danno esistenziale è quello che incide sui valori fondamentali dell’individuo (perdere stima in se stessi, il non credere più nelle proprie capacità. Sono danni diversi tra di loro per i quali la giurisprudenza tende a riconoscere un autonomo risarcimento.
Di recente il presidente dell’Ordine della Lombardia Franco Abruzzo ha proposto l’inserimento del reato di mobbing nel codice penale. Cosa ne pensa?
L’ipotesi della tutela sul piano penale esiste già, perché molto spesso il mobbing trasmigra in fattispecie penalmente rilevanti come la violenza, le molestie anche a sfondo sessuale. Esistono già ipotesi criminose previste dal nostro ordinamento che si possono accompagnare al fenomeno del mobbing. In questi casi sarà possibile garantire una tutela anche sul piano penale. Ovviamente il legislatore potrà sviluppare strumenti ad hoc.
Il mobbing può essere una strategia adottata dal datore di lavoro?
Il mobbing spesso è finalizzato all’espulsione del lavoratore. Si realizza il mobbing in quelle realtà dove è difficile espellere il lavoratore. Il che accade o nelle pubbliche amministrazioni o nella grande impresa. Nella piccola impresa dove non c’è una tutela reale del lavoratore, il datore di lavoro non ha bisogno di mobbizzare il dipendente per costringerlo ad andarsene. È sufficiente che attraverso il pagamento di una modesta penale si liberi del dipendente. Quindi non è un fenomeno che riguarda tutto l’universo del lavoro subordinato.
Ci può descrivere un esempio eclatante di mobbing verificatosi in Italia?
La dequalificazione, il demansionamento, la ghettizzazione sono pratiche frequenti. Un esempio famoso in Puglia è quello della ghettizzazione dei dipendenti all’Ilva di Taranto. L’Ilva voleva liberarsi di una serie dipendenti specie di alto livello che non erano più funzionali alle strategie aziendali e ha pensato invece di licenziarli non avendo motivi per poterlo fare, di ghettizzarli in una palazzina, per indurre questi dipendenti stremandoli con un’inattività prolungata a rassegnare le dimissioni. L’Ilva è stata condannata anche a livello penale perché il giudice ha ritenuto sussistesse la violenza a carico dei dipendenti.
Quanto sono frequenti i casi di mobbing nelle cause di lavoro?
Su un campione di 100 cause, il 50% sono per mobbing. Una buona metà. Si accompagnano a dequalificazione, licenziamento, demansionamento. In questi casi si impugna il provvedimento illegittimo e si denuncia il mobbing.
Quanto può durare in Italia una causa per mobbing?
La causa per mobbing dipende dall’approccio che ha il giudice. Ci sono molti magistrati che valorizzano il momento della consulenza medica, poiché è in grado di verificare attraverso una serie di indicatori se esiste un’incidenza del fattore ambientale del lavoro sull’individuo. Altri magistrati invece procedono alla verifica attraverso le prove testimoniali e in questo caso la causa ha una durata maggiore. La causa per mobbing non dura, salvo sciagure giudiziarie, non più di un paio d’anni. Dipende anche dai tribunali. È impossibile paragonare Milano a Bari. Milano ha una gestione del contenzioso di lavoro decisamente positiva dal punto di vista della rapidità: una causa di lavoro non dura più di un anno.
16 aprile 2004
Daniele Passanante