SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 11 giugno – 1 settembre 2008, n. 22011
(Presidente Ianniruberto – Relatore Bandini)
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza in data 2-17.12.2004 qui impugnata, respingendo l’appello incidentale svolto dall’Inps, confermò la pronuncia di prime cure con la quale l’Istituto era stato condannato, ai sensi del dl.vo n. 80/92, al pagamento in favore di Burrello Antonio dei crediti di lavoro, diversi dal TFR, afferenti alle ultime tre mensilità del rapporto lavorativo dal medesimo intrattenuto con l’ENAP, stante l’insolvibilità della parte datoriale e la sua non assoggettabilità a procedura concorsuale; con la medesima sentenza, in accoglimento dell’appello principale spiegato dal Burrello, l’Inps venne condannato alla corresponsione, sulle somme poste a suo carico, degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dalla data di maturazione del credito sino all’effettivo soddisfo.
A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne che:
ancorché il credito si riferisse a mensilità non rientranti nei dodici mesi precedenti l’inizio dell’esecuzione forzata, la stessa doveva ritenersi tempestivamente iniziata non appena il lavoratore era venuto in possesso del titolo esecutivo che consentiva il ricorso alla procedura esecutiva;
sostituendosi il Fondo di garanzia al datore di lavoro nel pagamento della somma dovuta, in quest’ultima dovevano ricomprendersi anche gli accessori del credito retributivo rimasto inadempiuto.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale l’Inps ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.
L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 2, comma 1, dl.vo n. 80/82, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cpc, dolendosi che la Corte territoriale abbia riconosciuto la sussistenza del diritto all’intervento del Fondo di garanzia benché il credito azionato si riferisse a mensilità non ricomprese nei dodici mesi antecedenti l’inizio dell’esecuzione forzata.
Con il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 2, comma 5, dl.vo n. 80/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc, dolendosi che la Corte territoriale non abbia considerato che, a mente della suddetta disposizione, gli interessi e la svalutazione monetaria sono dovuti dalla data di presentazione della domanda.
2. Osserva il Collegio che, secondo condivisa giurisprudenza di questa Corte, a seguito della determinazione da parte del legislatore italiano (con il dl.vo n. 80/92) del soggetto (l’Inps) tenuto alla garanzia dei crediti dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, la normativa comunitaria e la normativa nazionale sono venute a formare un complesso unitario di regole, cosicché alle disposizioni attuative nazionali non può attribuirsi contenuto contrastante con quello delle norme di cui costituiscono attuazione, le quali, a loro volta, non possono che essere lette secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia; ne consegue che il contenuto normativo dell’art. 2, comma 1, del citato dl.vo n. 80/92 deve essere determinato alla luce del principio enunciato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 10 luglio 1997 (causa C 272/95 – Maso e altri, Gazzetta e altri c. Inps e Repubblica Italiana), secondo cui “l’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro” di cui agli artt. 3, n. 2, e 4, n. 2, della direttiva del Consiglio n. 80/987 CEE corrisponde alla data della domanda diretta all’apertura del procedimento di soddisfacimento collettivo dei creditori, fermo restando che la garanzia non può essere concessa prima della decisione di apertura di tale procedimento o dell’accertamento della chiusura definitiva dell’impresa in caso di insufficienza dell’attivo; infatti la norma interna che consideri quale arco di tempo in cui collocare il numero di mensilità da corrispondere da parte dell’organo di garanzia quello determinato, a ritroso, dalla data del provvedimento di apertura del fallimento – il quale può intervenire a molto tempo di distanza dalla domanda di dichiarazione del fallimento e della stessa cessazione dei periodi di occupazione ai quali si riferiscono le retribuzioni non corrisposte – deve considerarsi, dopo la citata sentenza della Corte di giustizia, in contrasto con il principio di effettività della tutela comunitaria minima in caso di insolvenza del datore di lavoro cui la sentenza stessa ha fatto riferimento (cfr., Cass., n. 1106/1999).
Con successiva pronuncia – e sempre facendo riferimento ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea -questa Corte ha avuto altresì modo di affermare che il Fondo di garanzia istituito presso l’Inps si sostituisce al datore di lavoro inadempiente per insolvenza nel pagamento dei crediti di lavoro inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono, non la data d’apertura della procedura concorsuale, ma la data di proposizione della domanda volta all’apertura della stessa procedura, ovvero decorrenti dalla data di proposizione dell’atto d’iniziativa volto a far valere in giudizio il credito del lavoratore, fermo restando che tale garanzia non può essere concessa prima della decisione d’apertura della procedura concorsuale (cfr., Cass., n. 1885/2005).
Più in particolare, con quest’ultima pronuncia, è stato osservato che la garanzia di effettività della tutela, quale riconosciuta dalla ricordata sentenza 10 luglio 1997 della Corte di Giustizia europea, risulterebbe frustrata qualora si escludesse la validità delle iniziative giudiziali assunte dal lavoratore “in una sede giurisdizionale diversa”, prima di avviare la procedura concorsuale.
Al contempo, con la medesima pronuncia, è stato altresì osservato che, alla luce della previsione legislativa concernente la garanzia prestata per i crediti retributivi vantati nei confronti di datore di lavoro non soggetto a procedura concorsuale, l’applicazione del principio (di effettività della tutela) enunciato dalla Corte di Giustizia europea non può non prescindere, “…in tale ipotesi, dalla domanda di apertura della procedura concorsuale, che deve essere, di conseguenza, necessariamente surrogata da qualsiasi altra iniziativa, parimenti volta ad ottenere tutela giurisdizionale per i diritti (…) garantiti dalla direttiva”, cosicché la stessa applicazione di tale principio “…garantisce parità di trattamento – quanto a tutela dei diritti, in caso di insolvenza del datore di lavoro – ai lavoratori subordinati, a prescindere dalla soggezione, o meno, dello stesso datore di lavoro a procedure concorsuali”.
3. Deve peraltro rilevarsi che la Direttiva CE n. 80/987 concerne esplicitamente (art. 1, paragrafo 1) i diritti vantati dai lavoratori nei confronti “dei datori di lavoro che si trovano in stato di insolvenza ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1” e, perciò:
“…a) quando è stata chiesta l’apertura di un procedimento, previsto dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative dello Stato membro interessato, che riguarda il patrimonio del datore di lavoro ed è volto a soddisfare collettivamente i creditori di quest’ultimo e che permette di prendere in considerazione i diritti di cui all’articolo 1, paragrafo 1, e:
b) quando l’autorità competente in virtù di dette disposizioni legislative, regolamentari e amministrative:
– ha deciso l’apertura del procedimento;
– o ha constatato la chiusura definitiva dell’impresa o dello stabilimento del datore di lavoro, e l’insufficienza dell’attivo disponibile per giustificare l’apertura del procedimento” (art. 2, paragrafo 1).
Ne discende che le previsioni di cui all’art. 2 dl.vo n. 80/92, laddove si riferiscono a lavoratori dipendenti da datori di lavoro non soggetti a procedura concorsuale realizzano una forma di tutela di maggior favore, che tuttavia, come tale, non rientra in quella dei lavoratori subordinati “in caso di insolvenza del datore di lavoro” quale specificata dalla suddetta direttiva.
Se ne ricava che l’interpretazione della direttiva resa dalla Corte di Giustizia europea non è, di per sé, vincolante in relazione alla normativa nazionale di maggior favore e, come tale, idonea a sostituirla o, comunque, a modificarla, se contrastante con la direttiva stessa.
4. Ciò non di meno l’interpretazione della direttiva resa dalla Corte di Giustizia (e, quindi, il principio della effettività della tutela che essa esprime) costituisce comunque un fattore significativo per l’interpretazione anche della suddetta normativa di maggior favore. Ciò in quanto:
a) l’art. 9 della Direttiva CE n. 80/987 dichiara espressamente che la direttiva stessa “…non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare e di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli per i lavoratori subordinati”; dal che discende che anche tali condizioni di maggior favore devono intendersi riconducibili alle finalità proprie dell’ordinamento comunitario quali espresse dalla direttiva e, con ciò stesso, non indifferenti ai principi che, giusta l’interpretazione della Corte di Giustizia europea, la direttiva medesima sottende;
b) l’intenzione del legislatore (che a mente dell’art. 12 della preleggi costituisce uno degli elementi cardine nell’interpretazione della legge) risulta chiaramente orientata verso una sostanziale parificazione della tutela dei diritti dei lavoratori indipendentemente dall’assoggettamento o meno del loro datore di lavoro alle procedure concorsuali;
c) il rispetto della reciproca coerenza esistente fra le disposizioni direttamente attuative della direttiva e quelle di maggior favore induce a favorire un’interpretazione di queste ultime convergente con quella data alle prime alla luce dei principi enucleati dalla ricordata sentenza della Corte di Giustizia europea;
d) il principio della effettività della tutela enunciato dalla Corte di Giustizia europea, laddove tende ad evitare che il pagamento delle retribuzioni non resti privo di garanzia “…per motivi che possono essere indipendenti dal comportamento dei lavoratori” (paragrafo 50), si ricollega al più generale principio di ragionevolezza, di rilievo costituzionale interno (art. 3 Cost.), che, come tale, deve orientare l’interprete verso l’opzione ermeneutica che, tra le possibili, risulti maggiormente rispettosa della sua osservanza.
5. Passando alla disamina delle disposizioni normative disciplinanti la fattispecie in parola, deve anzitutto rilevarsi che, nell’ipotesi di datore di lavoro non soggetto a procedura concorsuale, l’intervento del Fondo di garanzia è subordinato all’esito negativo dell’esecuzione forzata individuale (cfr art. 2, comma 5, legge n. 297/82, richiamato dall’art. 2, comma 3, dl.vo n. 80/82, in base al quale “Qualora il datore di lavoro, non soggetto alle disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, non adempia, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono chiedere al fondo il pagamento del trattamento di fine rapporto, sempreché, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti”) e che, pertanto, per poter accedere all’intervento del Fondo di garanzia, il lavoratore si trova nella necessità di procurarsi il titolo esecutivo indispensabile per dare corso alla procedura esecutiva.
Deve perciò convenirsi che le esigenze di effettività della tutela dei crediti lavorativi apprestata dalla normativa in parola verrebbero ad essere (irragionevolmente) conculcate qualora, come prospettato dal ricorrente, si seguisse un’interpretazione strettamente letterale della disposizione (art. 1, comma 1, lett. b, dl.vo n. 80/82) che ne garantisce il soddisfacimento soltanto laddove detti crediti siano inerenti a mensilità (in particolare, le ultime tre del rapporto di lavoro) “rientranti nei dodici mesi che precedono: … b) la data di inizio dell’esecuzione forzata”; in tal modo, infatti, verrebbe addossato al lavoratore il rispetto di un termine ricollegato ad un evento, l’inizio dell’esecuzione forzata individuale, che può intervenire a molto tempo di distanza dalla domanda diretta alla necessaria precostituzione del titolo esecutivo (e della stessa cessazione dei periodi di occupazione ai quali si riferiscono le retribuzioni non corrisposte), senza che peraltro il tempo (successivo alla domanda giudiziaria) richiesto per la formazione del titolo sia nella concreta disponibilità dell’interessato.
6. Ne discende che, avuto riguardo al principio di effettività della tutela enunciato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 10 luglio 1997 e nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto del principio di ragionevolezza, si rende necessario calcolare il termine di dodici mesi decorrente a ritroso dalla data di inizio dell’esecuzione forzata (art. 1, comma 1, lett. b, dl.vo n. 80/82) senza tener conto del lasso di tempo intercorso fra la data di proposizione dell’atto d’iniziativa volto a far valere in giudizio i crediti del lavoratore (siccome necessario per la precostituzione del titolo esecutivo e, quindi, per dare inizio all’esecuzione forzata) e la data di formazione del titolo esecutivo stesso, fermo restando che la garanzia potrà essere concessa soltanto qualora, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione di tali crediti, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti.
7. Ne consegue che, in caso di contestazione, onde verificare se i crediti per i quali viene richiesto l’intervento del Fondo di garanzia rientrino o meno del termine di dodici mesi calcolato a ritroso dalla data di inizio dell’esecuzione forzata, diventa indispensabile l’accertamento della data di proposizione dell’azione giudiziaria volta alla precostituzione del titolo esecutivo e di quella di formazione di quest’ultimo, così da poter escludere dal computo il lasso di tempo intercorso fra tali due date.
La sentenza impugnata pur avendo correttamente evidenziato la necessità, ai fini dell’esperimento della procedura esecutiva individuale, della precostituzione del titolo esecutivo, ha ritenuto la fondatezza della domanda sul solo rilievo del tempestivo inizio della procedura esecutiva non appena conseguito il possesso, da parte del ricorrente, del titolo esecutivo che ne consentiva l’esperimento, senza interrogarsi (e procedere quindi al relativo accertamento) in ordine all’ampiezza del lasso di tempo intercorso tra la data di proposizione dell’azione giudiziaria volta alla precostituzione del titolo esecutivo e quella di formazione di quest’ultimo e senza, conseguentemente, verificare se il termine di dodici mesi da calcolarsi a ritroso dalla data di inizio dell’esecuzione forzata fosse stato rispettato pur escludendone il lasso di tempo suddetto.
Solo in tali limiti il primo motivo di ricorso deve quindi ritenersi fondato.
8. Ciò comporta, derivandone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, l’assorbimento del secondo motivo di ricorso; infatti tale motivo concerne una questione (peraltro già considerata, in motivazione, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 14220/2002) che dovrà essere affrontata dal Giudice di rinvio solo nell’ipotesi in cui, all’esito dei necessari accertamenti fattuali, risulti la ricorrenza delle condizioni prescritte e, in particolare, la ricomprensione delle mensilità richieste nel termine di dodici mesi decorrente a ritroso dalla data di inizio dell’esecuzione forzata da calcolarsi con le modalità anzidette.
9. Conclusivamente il ricorso va accolto nei limiti sopra specificati e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Giudice di pari grado indicato in dispositivo, che deciderà adeguandosi al seguente principio di diritto:
“Con riferimento all’obbligo del Fondo di garanzia costituito presso l’Inps di pagare, ai sensi del dl.vo n. 80/92, i crediti, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi di lavoro, avuto riguardo al principio di effettività della tutela enunciato dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea nella sentenza 10 luglio 1997 (causa C 272/95 – Maso e altri, Gazzetta e altri c. Inps e Repubblica Italiana) e con interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto del principio di ragionevolezza, il termine di dodici mesi decorrente a ritroso dalla data di inizio dell’esecuzione forzata (art. 1, comma 1, lett. b, dl.vo n. 80/82) va calcolato senza tener conto del lasso di tempo intercorso fra la data di proposizione dell’atto d’iniziativa volto a far valere in giudizio i crediti del lavoratore (siccome necessario per la precostituzione del titolo esecutivo e, quindi, per dare inizio all’esecuzione forzata) e la data di formazione del titolo esecutivo stesso, fermo restando che la garanzia potrà essere concessa soltanto qualora, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione di tali crediti, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti”.
Il Giudice del rinvio provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Messina