GESTIONI COMMISSARIALI E AZIONE DI RESPONSABILITA' VERSO I PRECEDENTI AMMINISTRATORI NELLE ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE E DELIBERA EX ART. 22 C.C.. BREVE NOTA A MARGINE DELLA SENTENZA N. 3874/2017 TRIBUNALE DI MILANO

1) Il caso

Commissariata dalla struttura nazionale un’articolazione provinciale sindacale, che per statuto ha piena e completa autonomia (propri associati, propria assemblea, propria autonomia patrimoniale), veniva proposta avanti il Tribunale di Milano azione per accertare la mala gestio del precedente organo amministrativo da parte del commissario, legale rappresentante della struttura provinciale, e da parte della struttura nazionale. Costituitosi in giudizio, l’ex amministratore eccepiva, tra l’altro, l’assenza della deliberazione ex art. 22 c.c., che prevede come queste azione debbano essere “deliberate dall’assemblea e sono esercitate dai nuovi amministratori o dai liquidatori”.

L’eccezione era respinta, sul presupposto che quella esperita dal commissario: “non è un’azione di responsabilità contro gli amministratori ex art. 22 c.c., bensì un’azione basata sulle norme di cui agli art. 1703 e ss c.c., ovvero … ex art. 2043 c.c.”. Nulla, invece, il tribunale statuiva, con riguardo alla seconda obiezione preliminare, secondo cui la struttura nazionale difettasse di legittimazione attiva, stante l’autonomia di quella provinciale.

2) Art. 22 c.c. e associazioni non riconosciute 1

Limitando le osservazioni alla questione della improponibilità ex art. 22 c.c., si osserva come la conclusione cui è pervenuto il tribunale sia tutt’altro che convincente, apparendo, al contrario, viziata sotto diversi profili, solo che si consideri che gli amministratori, per pacifica dottrina e costante giurisprudenza, assumono l’incarico proprio in funzione di un contratto di mandato mentre la responsabilità contrattuale è, notoriamente, figlia di quella extracontrattuale, che tutto involge.

Se un’associazione conviene in giudizio il suo ex rappresentante legale, deducendo che costui abbia svolto attività dannosa per il patrimonio associativo, assumendo l’illegittimità degli esborsi compiuti nel periodo in cui ha esercitato attività di governo dell’ente e pretendendo la condanna al risarcimento dei danni, non esiste dubbio alcuno che stia esercitando un’azione di responsabilità, con

1 Bibliografia essenziale: Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, Commentario del Codice civile, 1967; Galgano, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, 1987; Galgano, Diritto civile e commerciale, Vol. I, 1990; Cendon, Commentario del codice civile, 2009; Trimarchi, Istituzioni di Diritto Privato, ventesima edizione; Torrente-Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, 2009; De Giorgi, Diritto Civile, diretto da Lipari e Rescigno, vol. I, VIII; Turco, Diritto Civile, I, 2014; Barba-Pagliantini (a cura di), Commentario del codice civile, Delle persone, 2014.

conseguente necessità d’ottenere la preventiva deliberazione da parte dell’assemblea, costituita da quegli associati, che avevano conferito il mandato amministrativo all’ex amministratore, convenuto in giudizio.

E ciò per un semplice motivo: perché così prescrive l’art. 22 c.c., applicabile anche alle associazioni non riconosciute, come sono i sindacati.

Vista l’estrema essenzialità della disciplina codicistica per queste forme di aggregazione (articoli 36, 37 e 38 c.c.) e il loro ampio utilizzo che si registra nella vita quotidiana, al fine di compiutamente regolamentare questi consessi, dottrina e giurisprudenza concordano ormai da mezzo secolo che alle associazioni non riconosciute siano applicabili le stesse norme previste per quelle riconosciute, ovviamente, con esclusione di quelle connesse con il riconoscimento espresso della personalità giuridica dell’ente e di quelle che prevedono l’intervento dell’autorità governativa. A questo risultato si è giunti, dapprima, facendo ricorso al principio di analogia, quindi, attraverso la tesi dell’identità del tipo contrattuale, come ben messo in evidenza dalla dottrina (Galgano, Diritto Civile e Commerciale, vol. I, pag. 207 e ss.; Trimarchi, Istituzioni di Diritto Privato, ventesima edizione, pagina 78; Torrente-Schlesinger, Manuale di Diritto Privato; De Giorgi, Diritto Civile diretto da Lipari e Rescigno, vol. I, VIII, pagine 406, 407; Turco, Diritto Civile, I, pag. 121).

In giurisprudenza, esiste una vera e propria abbondanza di statuizioni che riconosce l’applicazione delle norme dettate per le associazioni riconosciute a quelle non riconosciute, dagli anni ’50 (cass. 1571/1957) ai nostri giorni (cass. 583/1967, cass. 2221/1978, cass. 2714/1975, cass. 1498/1978, cass. 5791/1981, cass. 4244/1997, cass. 8239/2000, cass. 1476/2007, che addirittura estende alle associazioni non riconosciute le norme dettate per le società). Identiche conclusioni si hanno nella giurisprudenza di merito: App. Potenza, 26/02/2010, Ch.An. e altri c. Confcommercio Trib. Roma Sez. III Sent., 24/07/2009 Pr.Fe. c. As.St.Pa.; Trib. Lecce Tricase, 08/01/2008 C.B. e altri c. R.N. e altri; Trib. Mantova, 12/06/2007; Trib. Roma, 25/01/2002 Catalano e altri c. Sindacato auton. polizia Trib. Napoli, 10/12/1999; Manfredonia e altri c. IPCA e altri; Trib. Milano, 03/10/1991 Finocchio c. Circolo Arci Pessina Milano; Trib. Napoli, 05/01/1988 Cioffi c. Circolo canottieri Napoli).

Con specifico riferimento all’art. 22 c.c., pur nella rarità di pronunce, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che la richiesta di ristoro dei danni provocati nella gestione da parte di un precedente amministratore debba essere preceduta da specifica deliberazione assembleare, in difetto della quale la domanda giudiziale debba considerarsi inammissibile (in questi termini il Tribunale di Bologna, giudizio r.g. 3874/2004, sentenza 27 febbraio 2006 e il Tribunale di Milano, sentenza 23 marzo 2005).

La ratio della norma e delle decisioni dei giudici è evidente: se il legale rappresentante di un’associazione non riconosciuta è stato incaricato da taluni

soggetti di svolgere determinate attività diventandone mandatario (peraltro secondo la stessa tesi espressa in sentenza), è del tutto naturale che debbano essere i mandanti e non certo altri a decidere se vi siano state violazioni del mandato.

Rispetto a questa prefigurazione, il commissario aveva asserito d’aver ricevuto mandato dagli organi centrali del sindacato, di talché la preventiva deliberazione dell’assemblea non doveva considerarsi necessaria.

L’argomento, non affrontato dal tribunale, non convince.

Da un lato, si osserva che non esiste alcuna norma, né giuridica né statutaria, che autorizzasse il commissario a promuovere azioni al di fuori dei limiti fissati dall’art. 22 c.c.. Un commissario di nomina nazionale, peraltro, non potrà mai essere dotato di poteri diversi e maggiori rispetto a quelli spettanti all’ordinario organo di governo della Federazione Provinciale, nella pienezza delle proprie funzioni. Al contrario, tutti gli amministratori provvisori, specie se nominati da soggetti diversi dai singoli associati della Federazione Provinciale (dotata di propria totale e completa autonomia, fatta eccezione per il potere commissariale), devono limitarsi a porre in essere gli atti assolutamente necessari per consentire il rinnovo delle cariche; saranno solo i nuovi amministratori, dopo preventiva deliberazione dell’assemblea, a decidere se avviare oppure no cause di responsabilità nei confronti di chi, in precedenza, avevano eletto alla carica. Nel rispetto della ratio che informa l’art. 22 c.c., sono, infatti, i mandanti (gli associati) a stabilire se evocare in giudizio il loro mandatario. Mancando l’autorizzazione a proporre il giudizio da parte dell’assemblea degli associati alla Federazione Provinciale, la causa non poteva essere proposta e la decisione del tribunale non può essere condivisa.

Gennaio 2018 Roberto Mattioni
avvocato del foro di Milano

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