SULLA RESPONSABILITA' DEL COMUNE PER DANNI NON PATRIMONIALI PROVOCATI DURANTE L'ESECUZIONE DI ACCERTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO

1) Il caso

Nel corso dell’esecuzione di una procedura di A.S.O. (accertamento sanitario obbligatorio), poi, scaturito in un T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio), alcuni agenti della polizia municipale erano stati accusati d’aver provocato un danno non patrimoniale (biologico, lesione a una gamba) alla persona destinataria del provvedimento restrittivo. Sulla scorta dell’accadimento la questione da risolvere era di comprendere se e in quali limiti il Comune, dal quale la polizia municipale e gli agenti dipendevano, dovesse rispondere.

2) La scriminante dell’adempimento di un dovere

È, del tutto evidente che, in un ipotetico giudizio in cui si dovesse decidere della risarcibilità dei nocumenti fisici patiti dal destinatario di un T.S.O., sarà questione di prova quella d’individuare o non individuare delle responsabilità: se due, tre, quattro agenti si presentassero dal destinatario del provvedimento e, sfogando le proprie frustrazioni o la propria recondita personalità, facessero un uso smodato e irragionevole della forza, non vi sarebbe nulla di cui discutere e l’ente pubblico dovrebbe, senza il minimo dubbio, ristorare i danni patiti dal malcapitato.

Questione diversa è quella in cui le forze dell’ordine svolgessero, com’è nella quotidiana prassi, i loro compiti di contenzione, rispettando le direttive ricevute e ponendosi in modo professionale e rispettoso del diritto all’integrità psicofisica del destinatario del T.S.O.. Se, ciononostante, costui dovesse patire dei nocumenti, occorre chiedersi quale sorte subirebbero gli operanti e quale il Comune, loro datore di lavoro, che, per il tramite del Sindaco, ha dato il via alla procedura di contenimento fisico di un cittadino (ordinanza che, sulla scorta di certificazione medica, approva l’esecuzione dell’accertamento sanitario obbligatorio – da non confondere con il trattamento sanitario obbligatorio che seguirà al termine dell’iter stabilito dagli articoli 33, 34 e 35 della legge 833/1978 e dagli articoli 1, 2, 3 della legge 180/1978). Dunque, verranno in conto solo quelle lesioni dipendenti dalle contingenze del momento, con il destinatario dell’A.S.O. che intenda sottrarsi volontariamente e gli agenti che, in adempimento dell’ordine ricevuto, provocassero un nocumento all’integrità psicofisica del cittadino.

Un preliminare rilievo di natura processuale: nulla vieta al soggetto che ritiene d’essere stato leso dall’azione di un soggetto, pur in adempimento di una disposizione proveniente dal proprio datore di lavoro, di convenire in giudizio direttamente l’autore del preteso illecito. La legittimazione passiva è chiaramente ancorata all’art. 2043 c.c., di talché ogni singolo operante potrebbe essere destinatario di una chiamata diretta in giudizio, per rispondere dei danni causati

con dolo o con colpa. Accadrà, invero, che la reazione del danneggiato si rivolga assai più facilmente verso il Comune, dal quale gli operatori dipendono, sia per la solidità patrimoniale dell’ente rispetto a quella della singola persona fisica, sia per la maggior semplicità e sicurezza dell’azione giudiziale indirizzata verso un solo soggetto piuttosto che contro tre/quattro, valendo a questo riguardo considerazioni d’opportunità con riguardo a un’ipotetica soccombenza, che determinerebbe inutili sovraccosti in punto spese legali. L’azione diretta nei riguardi dell’ente pubblico, pertanto, sarà giustificata ai sensi dell’art. 2049 c.c., che autorizza il soggetto che ha patito un danno, a citare in giudizio la persona giuridica in nome della quale singoli individui hanno agito.

Effettuato questo chiarimento, è intuitivo che l’esecuzione di un A.S.O., ovverosia, l’accompagnamento del destinatario del provvedimento dal proprio domicilio al pronto soccorso di un ospedale, possa svolgersi in modo anche violento. Oltre a prelievi d’individui storditi dai farmaci o privi di coscienza, può talvolta accadere che il destinatario dell’A.S.O. sia tutt’altro che collaborativo, opponendo resistenze tali da richiedere l’uso della forza, per eseguire l’ordine di accompagnamento emesso con ordinanza del sindaco. Quando ciò accade è ben possibile che gli operanti cagionino lesioni fisiche, sì che occorrerà chiedersi a quali conseguenze andranno in contro gli agenti.

Le norme guida sono rappresentate dall’art. 2043 c.c., dall’art. 51 c.p., dalla legge 65/1986, in relazione agli articoli 33, 34 e 35 della legge 833/1978 e dalla Circolare 3/2001 del Ministero degli Interni.

L’art. 2043 c.c. richiede, infatti, che per la risarcibilità di un danno, questo debba essere ingiusto, ovverosia, contra legem, risultato, quindi, della violazione di disposizioni normative. Se un qualunque individuo coartasse la libertà di movimento altrui provocando, esemplificativamente, la frattura di un braccio, non esisterebbe dubbio del suo dovere di ristorare i danni provocati (e di rispondere finanche in sede penale), ma nel momento in cui la stessa situazione si verificasse senza violazione di disposizioni normative, il danno non sarebbe risarcibile. Nei casi di A.S.O. (e di T.S.O.) l’azione degli operanti avviene sempre in esecuzione di specifici ordini dell’autorità (sindaco per l’A.S.O.; giudice tutelare per i T.S.O.), con la conseguenza che eventuali danni patiti dal destinatario del provvedimento, l’esistenza di un ordine legittimamente emesso, costituirebbe elemento scriminante, rispetto a eventi dannosi non riconducibili all’uso eccessivo, smodato e irragionevole della forza. Per dare concreta forma alla fattispecie teorica, ipotizziamo un A.S.O nei confronti di soggetto, certificato dal medico di medicina generale, come violento e pericoloso a cagione del proprio stato di salute che, nel momento in cui fosse raggiunto dagli operanti, desse in escandescenze. Ipotizziamo, inoltre, che gli agenti abbiano posto in essere tutti i possibili tentativi di persuasione verbale, rispetto ai quali l’interessato reagisse con un tentativo di fuga, con spinte e aggressione agli agenti. Ipotizziamo infine che, nell’immediata e successiva rincorsa, il destinatario dell’A.S.O. cadesse in

terra patendo lesioni fisiche, vuoi perché sbilanciato da un agente vuoi per un inciampo.

A fronte di un evento di questa natura, l’esenzione della responsabilità degli agenti conseguirà solo dopo una serie di constatazioni.

In primo luogo, infatti, occorrerà che gli operanti abbiano agito in relazione a un ordine legittimo dell’ufficiale di governo che, nella sua potestà, abbia inteso avviare la procedura di A.S.O.; l’agente municipale, di fronte a un ordine non manifestamente illegittimo, che ha, quale scopo conosciuto dagli stessi operanti, quello di realizzare la sicurezza dei cittadini, non solo non ha alcun potere di sindacato, ma ha il dovere di porlo in essere nel più breve tempo possibile, in modo da risolvere la situazione di pericolo. L’esenzione non può, tuttavia, dirsi assoluta. Gli agenti, infatti, dovranno operare una verifica, con riguardo all’esistenza e alla legittimità dell’ordine: dovranno, pertanto, disporre materialmente dell’ordinanza sindacale e dovranno, quantomeno, verificarne il contenuto. Non potrà, pertanto, ritenersi legittima un’operazione limitatrice della libertà personale di un soggetto eseguita da agenti che abbiano ricevuto un ordine orale costrittivo, in assenza dell’ordinanza sindacale dispositiva dell’A.S.O. e prevista dalla legge. Parimenti, dovrà considerarsi illegittima l’esecuzione di un ordine contenente previsioni palesemente illegittime: se, infatti, la polizia municipale si ritrovasse a eseguire un’ordinanza del sindaco che si limitasse a dare atto di un generico stato di alterazione della salute di Tizio, in assenza di riferimenti a certificazioni mediche e a qualsivoglia documentazione obiettiva, gli operanti bene farebbero a rappresentare l’insufficiente contenuto dell’ordine, giacché il rischio di non valersi dell’esenzione di responsabilità sarebbe elevato.

Una volta, tuttavia, che l’ordinanza sindacale abbia un contenuto sufficiente ad attivare l’azione degli operanti, questi possono agire sotto l’egida dell’art. 2043 c.c., giacché, in astratto, la loro condotta non potrebbe mai considerarsi contra legem, salvo il limite derivante dalla sua esecuzione secondo forme di correttezza e ragionevolezza, nei termini sopra descritti.

A specificare il quomodo nell’esecuzione dell’incombenti soccorre la Circolare 3/2001 del Ministero dell’Interno secondo cui, nel tracciare le competenze della polizia Municipale Continuano ha statuito:

“Al riguardo, questo ministero, più volte interessato sulla problematica in esame, ha espresso il proprio avviso ritenendo che le funzioni di accompagnamento dei soggetti per i quali si rende obbligatorio il T.S.O. debbano essere svolte dagli operatori di polizia municipale per assicurare prioritariamente l’attuazione dei principi generali di tutela della persona fissati, in particolare dalla legge 833/78, istitutiva del servizio sanitario nazionale. Ancorché tale attività di accompagnamento esuli dai compiti istituzionali propri degli operatori di polizia municipale, questi sono, tuttavia, tenuti ad assolverla, sulla scorta delle direttive impartite dal sindaco, il quale, in tal caso, assicura e

coordina lo svolgimento sia delle funzioni di polizia locale (art.1 e 2 della legge 7/3/1986, n. 65), sia di quella di autorità sanitaria, di cui è titolare nei trattamenti sanitari obbligatori, in forza della legge 23/12/1978 n. 833, art. 33, titolarità riconfermata dall’art. 117 del d.lgs. 31/3/1998 n. 112 come trasfuso nell’art.50, comma 5, del d.lgs. 18/8/2000, n. 267 laddove è previsto che in caso di emergenze sanitarie a carattere esclusivamente locale le ordinanze con tingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Ciò premesso, al fine di consentire uniformità di orientamento da parte delle SS.LL. sulla materia in argomento, si ritiene opportuno fornire le seguenti indicazioni procedurali:
– il sindaco emette l’ordinanza di ricovero obbligatorio per il soggetto con patologia mentale presso il più vicino presidio sanitario, rimanendo esclusivamente a carico di quest’ultimo, qualora non vi fosse disponibilità di posti, il compito di individuare un’altra struttura idonea ove indirizzare l’ammalato;
– i vigili urbani devono accompagnare l’infermo di mente fino al luogo di cura, anche se fuori del comune, poiché intervengono nell’esercizio del potere di polizia amministrativa sanitaria, propria dell’autorità locale, e non in quello dell’attività di P.S. ;
– quanto ai mezzi con cui trasportare il malato di mente presso il presidio sanitario, di regola ed in via prioritaria, essi vanno individuati nelle autoambulanze, non escludendo, però, in considerazione della peculiarità della malattia, l’uso di qualsiasi automezzo, anche privato, in caso di necessità ed ove possibile;
– una volta raggiunto il luogo di trasferimento, qualora il ricovero dell’infermo non fosse possibile per mancanza di posti disponibili lo stesso veicolo che ha iniziato il viaggio di trasporto proseguirà fino a raggiungere la nuova destinazione.
Si fa presente, da ultimo, che le indicazioni di cui sopra risultano compatibili con l’avviso espresso a suo tempo dal ministero della sanità (circ. n.900.3/SM-E1/896 del 21.9.1992) e con le direttive emanate dalle regioni alle strutture sanitarie locali, onde facilitare le necessarie intese fra tutte le istituzioni interessate al buon andamento dell’attività amministrativa nel suo complesso.”

Anche riguardato dall’angolo visuale penalistico, il comportamento degli operanti risulterebbe esente da critiche; secondo l’art. 51 comma 1 c.p. infatti:

“L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità”

A convincere definitivamente circa la legittimità della condotta vi sarebbero, infine, gli articoli 3 e 5 della legge 65/1986 sull’ordinamento della Polizia Municipale, che attestano il potere degli stessi d’intervenire in situazioni come quelle in esame:

“Art. 3. Compiti degli addetti al servizio di polizia municipale.
Gli addetti al servizio di polizia municipale esercitano nel territorio di competenza le funzioni istituzionali previste dalla presente legge e collaborano, nell’ambito delle proprie attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità.”

“Art. 5. Funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale, di pubblica sicurezza.
1. Il personale che svolge servizio di polizia municipale, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita anche:
a) funzioni di polizia giudiziaria, rivestendo a tal fine la qualità di agente di polizia giudiziaria, riferita agli operatori, o di ufficiale di polizia giudiziaria, riferita ai responsabili del servizio o del Corpo e agli addetti al coordinamento e al controllo, ai sensi dell’articolo 221, terzo comma, del codice di procedura penale;
b) servizio di polizia stradale, ai sensi dell’articolo 137 del testo unico delle norme sulla circolazione stradale approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, numero 393;
c) funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 3 della presente legge.

4. Nell’esercizio delle funzioni di agente e di ufficiale di polizia giudiziaria e di agente di pubblica sicurezza, il personale di cui sopra, messo a disposizione dal sindaco, dipende operativamente dalla competente autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza nel rispetto di eventuali intese fra le dette autorità e il sindaco.
…”

Conclusivamente, a fronte della corretta emanazione dell’ordinanza del sindaco, l’eventuale danno patito dal destinatario dell’ordine restrittivo che, volontariamente, si sottraesse all’esecuzione, non legittimerebbe un’azione risarcitoria.

Roberto Mattioni
avvocato del foro di Milano

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