Diffamazione, impugnazione delibere, mobbing della p.a.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 20 luglio 2007, n. 29373

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Proponericorso per cassazione C.V. avverso la sentenza della Corte di appellodi Catanzaro in data 26 gennaio 2006 con la quale è stata confermataquella di primo grado, affermativa della sua penale responsabilità peril reato di diffamazione pluriaggravata ex art. 595 c.p.p., commi 2 e3, in danno di M. A., Sindaco del Comune di …omissis…, e degliamministratori comunali.

Il reato che si assume commesso nel…omissis… è stato ritenuto in relazione al contenuto di un ricorsopresentato al Tar Calabria col quale l’imputato ha impugnato duedelibere regionali del 1998 che riteneva essere state adottateillegittimamente al fine di garantire il risultato, parimentiillegittimo, perseguito dalla detta Amministrazione di far vincere unconcorso pubblico, cui egli aveva partecipato, all’unica altracandidata. Deduce l) La violazione dell’art. 124 c.p., per non avere, igiudici di appello, accolto il motivo relativo alla tardività dellaquerela, proposta il 30 marzo 1999, ben oltre il termine di novantagiorni dalla conoscenza del fatto lesivo della reputazione, ossia delcontenuto del ricorso al Tar che, come si evince anche dalla deliberadell’8 febbraio 1999 (attributiva all’avvocato La Russa del mandato asporgere querela), era stato notificato al detto sindaco il 4 dicembre1998;

2) la violazione delle norme sulla valutazione dellaprova e in particolare dell’art. 192 c.p.p., per avere, la Corteterritoriale omesso di considerare che il testo del ricorso era statoredatto dal legale dell’imputato, dopo che costui gli aveva firmato inbianco il foglio destinato a contenere i motivi di ricorso;

3)violazione dell’art. 24 Cost. che garantisce ad ogni cittadino ildiritto di difendersi, evenienza che nel caso di specie si era perl’appunto verificata mediante la redazione di un ricorso il quale,dovendo il lustrare un comportamento dell’Amministrazione che avevadato luogo ad un atto viziato da eccesso di potere, non poteva nonsoffermarsi sulle ragioni di siffatto vizio, integrato da una serie didelibere ingiuste che avevano dato luogo ad un vero e proprio mobbing acarico del C..

4) la violazione dell’art. 598 c.p., perchè la Corte aveva negato ingiustificatamente la esimente in questione.

Indata 6 aprile 2007 il ricorrente ha depositato una memoria nella qualeha insistito per l’accoglimento del primo e secondo motivo, chiedendoin subordine il riconoscimento della prescrizione.

Il ricorso è fondato.

Il primo motivo di ricorso, invero propedeutico rispetto a tutti gli altri, è peraltro infondato.

L’accertamentodella conoscenza dei fatti oggetto di querela, da parte della personaoffesa implica una valutazione in fatto riservata al giudice del meritoe insindacabile da parte della Cassazione se congrua e logica.

Taleè la considerazione del giudice di appello che ha ritenuto nonprobante, ai fini che qui interessano, la sola data della notifica delricorso amministrativo contenente le affermazioni offensive:

infatti,ai fini della tempestività della querela rileva la conoscenza effettivadel contenuto dell’atto nella specie non dimostrata- non surrogabiledalla presunzione legale di conoscenza della esistenza dell’atto,connessa alla notifica del medesimo.

Il terzo e quarto motivodi ricorso sono invece fondati e il loro carattere assorbente esimedalla valutazione di quello residuo.

Questa Corte ha avutomodo di osservare più volte che l’esimente di cui all’art. 598 c.p.,(in base alla quale non sono punibili le offese contenute negli scrittipresentati o nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loropatrocinatori innanzi alla autorità giudiziaria) costituisceapplicazione estensiva del più generale principio posto dall’art. 51c.p., in quanto riconducibile all’art. 24 Cost., e si fondaesclusivamente sul rapporto di strumentalità tra le frasi offensive ele tesi prospettate nell’ambito di una controversia giudiziaria, sicchénon si richiede che le offese abbiano una base di veridicità o unaparticolare continenza espressiva (rv 234008).

Il”rapporto di funzionalità”, nel quale la giurisprudenza ha tradotto lalocuzione “offese che concernono l’oggetto della causa o del ricorsoamministrativo” contenuta nell’art. 598 c.p., sta a significare, inaltri termini, che le offese sono tollerate dall’ordinamento quandosono rilevanti per la esposizione delle ragioni poste a fondamentodell’attività processuale e sono utili quindi a garantire in concretoun libero esercizio del diritto difensivo.

Per taleragione ai fini della esimente non è richiesto il requisito né dellanecessità di quelle espressioni (rv 234007), né della verità delleaffermazioni in questione, così come, per converso, è ritenuta nonscriminabile la locuzione offensiva che si appunti su soggetto deltutto estraneo ai fatti.

E’ richiesto, in conclusione,che quelle espressioni concorrano ad illustrare le ragioni difensiveperchè di esse possa dirsi che “concernono” l’oggetto della causa o delricorso amministrativo o, come rilevabile anche dall’art. 89 c.p.c.,”riguardano” l’oggetto della causa.

Il detto rapportodi strumentalità è già stato ravvisato dalla giurisprudenza nellafattispecie di uso di espressioni offensive in un ricorso al giudicevolto a illustrare una situazione di fatto risoltasi in un “mobbing”(rv 232335).

Nella specie, pur trattandosi di ricorsoamministrativo, il vizio dell’atto dedotto risulta incontestatamentecorrelato ai fatti che sono descritti nel capo di imputazione comenarrati in spregio della altrui reputazione.

Nel negare ciò,la Corte di merito ha escluso in modo erroneo la applicazione dell’art.598 c.p., affermando in termini del tutto apodittici che le espressionidi cui all’imputazione hanno dato luogo ad un attacco personalegratuito e privo di collegamento funzionale con la esplicazione deldiritto di difesa.

Piuttosto, proprio la lettura delleespressioni riportate nella intestazione della sentenza rende evidenteche quelle locuzioni, sicuramente offensive, sono state formulate nelcontesto della deduzione della illegittimità di delibere che, ancorasecondo la prospettazione del ricorrente, sarebbero la manifestazionedi un comportamento illegittimo dell’Amministrazione riconducibile allanozione di mobbing. Questa infatti, come insegna la giurisprudenzacivile (Cass. civ. n. 4774 del 2006) si può realizzare concomportamenti anche soltanto provvedimentali dotati di idoneitàoffensiva e può consistere nella sistematicità e durata dell’azione neltempo, in caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione,risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa.

L’imputato va pertanto assolto perchè la condotta non è punibile ai sensi dell’art. 598 c.p..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

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